Mary grassa |
Tutti si rivolgevano a lei chiamandola Mary Grassa e sembrava che a lei non importasse, in fin dei conti era solo il modo con cui la si poteva distinguere dalle altre Mary, compresa sua figlia. Era bassa e rotondale sorrideva tanto, soprattutto quando suo marito Joe beveva troppo vino e diventava violento. Andava a lavorare ogni santo giorno nella fabbrica di Butchertown che confezionava carne, disossando prosciutti anche quando la sera prima si fermava fino a tardi nella taverna del quartiere e lo vedevamo salire le scale sul retro, reggendosi sulle mani e le ginocchia, o quando si ubriacava a tavola e le urla si concludevano con delle scazzottate con uno o entrambi i figli di Mary Non se ne parlò mai apertamente ma i vicini sapevano che Joe aveva abbandonato una moglie e dei figli in Italia. Forse per colmare il vuoto lasciato dall'assenza della famiglia, o per alleviare il senso di colpa per averla abbandonata, sposò Meri, una vedova con tre figli e senza mezzi per sopravvivere; lui divenne il suo unico sostegno. Mary Grassa usciva di casa raramente, dedicandosi ai suoi rigidi schemi settimanali secondo i quali ogni giorno aveva un compito preciso da portare a termine: lavare, stirare e rammendare; far prendere aria a tappeti e coperte sul davanzale della camera da letto, mentre le lenzuola si asciugavano sui fili del cortile; spolverare, passare la cera e spazzare; poi c'era la lunga preparazione dei cibi, coltivava le verdure e le erbe aromatiche nell'orto in mezzo alle nostre case; molto spesso preparava la pasta fresca: tagliatelle, ravioli e gnocchi. |
Il profumo che proveniva dalla sua cucina erano diversi dai nostri perché lei era di Genova e mia madre di Pesaro. C'era sempre un leggero odore di pesto che trasudava dal mortaio e dal pestello riposti nella credenza, anche quando non vi stava macinando basilico, aglio e pinoli. Io assaggiavo volentieri qualunque cosa lei cucinasse quando mi capitava di essere a casa loro mentre mangiavano o mentre preparavano un pasto per il giorno successivo. La figlia, Mary, non frequentava la scuola superiore e non aveva amici della sua età, ma si occupava esattamente di tutte le faccende che sbrigava la madre, eccetto la spesa. Prese lezioni di piano e di fisarmonica e, a volte, nelle serate calde, suonavamo le nostre fisarmoniche nelle rispettive cucine, con le finestre spalancate, in competizione per l'esecuzione più rumorosa. I fratelli di Mary erano un po' più grandi di lei; non riuscirono a trovare lavoro durante la Grande depressione e non credo che facessero granché in generale. A quei tempi, quando mia madre aveva un lavoro, (solitamente per mesi piuttosto che per anni) andavo a casa loro dopo la scuola. Entravo in casa con la chiave che portavo al collo, mi cambiavo e poi passavo attraverso il cancello che separava i nostri cortili sul retro, infine salivo la scalinata posteriore che mi portava direttamente nella loro cucina. Ufficialmente la mia babysitter era Mary, la figlia, ma non pensò mai a qualche attività da proporrai, tanto che io bighellonavo e basta, osservando le occupazioni della madre e della figlia, aspettando che il tempo passasse. |
Una sera dovetti rimanere da loro all'ora di cena; era inverno e fece buio presto, e dei miei genitori nessuna traccia, così Mary aggiunse un posto a tavola ma io non riuscii a mangiare, anzi, forse piansi addirittura; ricordo perfettamente quanto fossi affranta. I piatti furono lavati e il cibo riposto ma scrutando attraverso il cortile potevo rendermi conto che la luce era ancora spenta. Joe si risedette a tavola e continuò a bere vino. Mamma e papa infine arrivarono, entrambi apparvero sul cancello per spiegare dov'erano finiti; papa era passato a prendere la mamma alla Levi-Strauss quando si era forata una gomma del vecchio camion nel bel mezzo del traffico cittadino. Poterono a malapena spiegare l'accaduto poiché Joe s'infuriò per il loro ritardo, non prendendosi cura di me. I miei genitori compresero subito che non sarebbero riusciti a farlo ragionare e mi portarono a casa. Mentre preparava la cena, la mamma lo vide e lo udì dalla finestra della nostra cucina mentre inchiodava il cancello tra i nostri cortili. Non venne mai più riaperto. Dopo questo episodio, le donne furono d'accordo nel mantenere un comportamento condiviso, cioè ostentare un'indifferenza che risultò goffa nella quotidianità, ad esempio quando contemporaneamente ci si affacciava alla finestra per sbattere i tappeti o le scope. |
Joe non si scusò mai con noi e non ci parlò mai più, forse imbarazzato per il suo comportamento ingiustificato e comunque perché incapace di scusarsi. Da allora un altro vicino si prese cura di me dopo la scuola. Non sentii la mancanza della famiglia di Mary Grassa; non mi avevano mai trattato male ma neppure avevano mai dimostrato il minimo affetto nei miei confronti. Oggi mi rendo conto che Mary Grassa non si volle complicare la vita, nel suo non mostrare né affetto, né disillusione. Accettò tutto quello che le capitò, semplicemente contenta di riuscire a sopravvivere. Quando non era impegnata con i suoi lavori domestici, si divertiva stando seduta dietro le tende di pizzo del suo salotto ad osservare i passanti, in particolare cercando di vedere che cosa indossassero e con chi fossero. Di notte, quando tornavo da un appuntamento, la vedevo mentre guardava fuori attraverso la finestra di quella stanza buia nella quale le tende si muovevano sempre quasi impercettibilmente. Di lei ricordo che sorrideva tanto, fingendo che tutto andasse bene. |