EREMO DI SANTA MARIA DI MORIMONDO

Testo e fotografie

  LOCALITA'   MONTE NERONE

PU

Regione Marche Ass.Turismo
  TEMPO DI PERCORRENZA   15 MINUTI A PIEDI (SOLO ANDATA)

E

 
  SEGNALETICA   BANDIERINE GIALLO/ROSSE, SENTIERO n°8  
  GRADO DI DIFFICOLTA'   ESCURSIONISTICO  

 

COME ARRIVARE

 

Da Fano si imbocca la superstrada n. 3 fino ad Acqualagna; risalendo la valle del Fiume Candigliano lungo la Statale n. 257 da Acqualagna verso Piobbico, la strada si incunea nella gola calcarea di Gorgo a Cerbara; superata la stretta ansa del fiume e attraversati due ponti, si nota sulla destra della carreggiata un ampio spiazzo per parcheggiare. Il sentiero si imbocca a sinistra in corrispondenza del primo ponte alla confluenza con il Fosso dell'Eremo (un cartello indica la direzione). Proseguendo comodamente sul fondovalle tra resti di antiche carbonaie, ripide pareti e balze rocciose ammantate di lecci, si raggiunge in breve l'eremo che sorge alto sul fiume.


DESCRIZIONE

 
 

L'itinerario ha inizio con un percorso altamente suggestivo caratterizzato da una stretta gola affiancata da aeree balze dentate, tra cui quelle di Campiate, a metà della quale si aprono la grotta dell'Eremita e quella del Capraio, e la prospiciente Balza della Taddea, con le sue strapiombanti guglie rocciose. Tra la fitta vegetazione e i boschi di carpini, ornelli e lecci, si elevano i resti dell'eremo costituiti da un arco e da alcune cortine murarie con luci rettangolari strombate all'interno: si tratta di tutto ciò che resta di un edificio di pianta rettangolare di non ampie dimensioni e probabilmente composto da due piani, di cui l'inferiore con volte a botte.

 

PER SAPERNE DI PIU'

 
 

L'eremo fu abbandonato probabilmente in seguito al terremoto che colpì la zona nel 1781. Le sue origini sono riconducibili intorno al intorno al Mille, anche  se il primo documento che lo menziona è una bolla del 1205 con cui Innocenzo III concede la protezione apostolica agli eremiti che lo abitavano, forse seguaci della regola avella-nita di San Pier Damiani, nonostante il nome Morimondo (indicante la volontà di distaccarsi dal mondo) sembri rimandare all'ordine cister-cense. Nel XV secolo l'eremo compare nei documenti come priorato e i benefici passano  ai Brancaleoni  della Rocca fino al secolo successivo  e alla definitiva incorporazione nei beni della Diocesi di Cagli. Nell'attiguo cimitero ora scomparso furono sepolti, nel 1532, Roberto Brancaleoni e sua moglie, i resti dei quali furono poi traslati nel cimitero della vicina Rocca Leonella. Dalla seconda metà del XIII secolo l'eremo fu sottoposto alla giurisdizione ecclesiastica di Fonte Avellana sotto la guida di Sant'Albertino che, nel 1285, si recò in visita a Morimondo.

 

La leggenda della bella Taddea
La particolare conformazione geografica della zona ha contribuito alla nascita di numerose leggende popolari, la più famosa delle quali è quella della bella e giovane Taddea, le cui fattezze si dice che siano rimaste impresse nella rupe che strapiomba sull'eremo, morta suicida per amore del conte Muzio Brancaleoni di Piobbico e il cui fantasma sarebbe costretto a correre per l'eternità lungo questi luoghi impervi
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