Dai fichi, lonze e torroni

   
   

Per quanta cura si possa avere nell'allevare il maiale, nel procurargli la ghianda migliore, nel lavorarne sapientemente le carni, non si potrà mai ottenere una lonza paragonabile alla lonza di fico. È proprio questa, infatti, la lonza marchigiana più conosciuta ed ; prezzata al di fuori dei confini regionali. La produzione è concentrata essenzialmente in provincia di Ancona ma esiste, in piccole quantità, anche in alcuni comuni del maceratese. È un dolce dalla caratteristica forma cilindrica, di 15-20 centimetri di lunghezza e circa 6 di diametro che si presenta avvolto da foglie di fico legate con fili proprio come una lonza. L'ingrediente principale è costituito dai fichi essiccati che vengono aromatizzati con mistrà, rum, o con la tradizionale sapa, che ogni tanto vediamo rispuntare negli abbinamenti più vari. Il tutto viene poi macinato aggiungendo noci e mandorle triturate a parte. L'impasto così ottenuto viene modellato finché non assume la forma di una lonza e viene poi avvolto nelle foglie.

 

 

La lonza di fico si prepara ad ottobre e si mantiene fragrante fino a marzo-aprile. Un prodotto straordinario, talmente interessante che nel 1999 Slow food ha deciso di costituire un presidio per salvaguardarlo e rilanciarlo. E i risultati non sono mancati visto che nei primi tre anni di operatività del presidio la produzione è aumentata di oltre il 230% ed il prezzo di vendita ha fatto registrare un incremento del 63%. E ben il 25% della produzione viene esportata in Francia, Inghilterra e ultimamente anche in Giappone; dato assai sorprendente per un prodotto la cui produzione è ancora li-mitatissima, nell'ordine di poche migliaia di unità all'anno. Ma spostiamoci ora nell'ascolano, dove si ottiene un prodotto per alcuni aspetti simile, il torrone di fichi, detto anche panetto di fichi. Esso si presenta di diverse forme: a torrone, a salame e persino a cuore. Va detto che il torrone di fichi, come d'altronde la lonza, nasce da un'esigenza assai pragmatica, quella cioè di utilizzare al meglio tutta la produzione di fichi che, come noto, si concentra nell'arco di pochi giorni. Questo fatto, insieme alla scarsa serbevolezza del frutto, ha fatto sì che venissero sperimentate diverse forme di conservazione fra cui la lonza e il torrone sono senz'altro tra quelle meglio riuscite.

 

 

Il torrone, o panetto, si prepara partendo dai fichi che vengono aperti e farciti internamente con mandorle tostate e cedro candito.  Si usa poi aggiungere altri ingredienti variabili da zona a zona e da ricetta a ricetta. I più usati sono: cacao, menta, cannella, vaniglia e arancio candito. Una volta tagliati e allargati a forma di otto, i fichi vengono sistemati uno a fianco all'altro in una piccola forma rettangolare in legno detta "coscena". Si passa quindi alla farcitura interna a base di mandorle e cedro candito con l'aggiunta di qualcuno degli altri ingredienti "facoltativi". La forma viene infine completata con un altro strato di fichi. Il coperchio della "coscena" viene a questo punto utilizzato per effettuare una prima pressatura dolce alla quale, dopo aver fatto asciugare il prodotto per qualche giorno, ne segue un'altra eseguita con un piccolo torchietto a mano. Il torrone, a questo punto, è pronto per il confezionamento. Entrambi i prodotti vantano una tradizione antica e prestigiosa testimoniata da numerosi riferimenti bibliografici. Si potrebbe iniziare citando la lettera di Giacomo Leopardi del 20 febbraio 1826 nella quale il poeta recanatese ringrazia il padre per avergli inviato dei fichi "di un sapore eccellente". 

 

Considerando che la lettera è del 20 febbraio, tutto lascia pensare che non si trattasse di fichi "settembrini" ma di fichi sotto forma di lonza che, in questo modo, si potevano conservare fino all'inizio della primavera. Ma esistono anche, sempre nell'ottocento, riferimenti assai più espliciti come ad esempio un articolo apparso sull'Eco del Trento del 2 dicembre 1877 che elogia una fabbrica di Monsampolo che produceva lo "squisito Torrone di Fichi". Il prodotto è citato anche nel libro "Ascoli Piceno 1882 - Guida della città e dintorni" (G. Gabrielli) ne "La Guida della Provincia di Ascoli Piceno" (CAI. 1889) e in "La patria - Geografia dell'Italia" (G. Strafforello 1898). Ma il primo riferimento storico risale addirittura al 1571 ed è quello riportato in un documento dell'Archivio Storico del Comune di Monsampolo del Tronto dal quale risulta che un "camerario" comunale ha pagato due bolognini d'argento per l'acquisto di un "pezzo di fichi". Un pezzo di storia verrebbe da dire, ma auspichiamo che questi due prodotti possano avere anche un futuro all'altezza della loro tradizione.

 

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