Il pane e la pasta: ovvero i frutti del grano

   
   

Da sempre, le Marche sono una regione prevalentemente cerealicola, il cui ambiente pedoclimatico è particolarmente vocato alla produzione di un frumento di ottima qualità. Già alla fine del 1500, il Boterò, nelle sue "Relazioni Universali", individuava il grano tra i prodotti di maggiore spicco delle Marche attestandone l'esportazione di grandi quantitativi nelle altre regioni. In effetti, il frumento, insieme alla vite e all'olivo (non a caso vino e olio sono gli altri due prodotti segnalati dal Boterò), è la coltura che meglio rappresenta la cultura contadina marchigiana. Ancora oggi, nonostante si tratti di un settore relativamente povero, i cui margini di profitto per i produttori sono continuamente minacciati dall'imperante globalizzazione da un lato e dal progressivo ridimensionamento della politica comunitaria di sostegno dall'altro, la cerealicoltura continua a ricoprire un ruolo di primo piano nell'agricoltura regionale.

 
 

Basta dare un'occhiata ai numeri per rendersi conto della grande rilevanza della coltivazione dei cereali nelle Marche. La superficie investita a cereali è stabilmente al di sopra dei 200.000 ettari e rappresenta oltre il 40% dell'intera superficie agricola utilizzata (SAU) della regione. La parte del leone la fa il frumento, sia duro che tenero, che da solo occupa circa un terzo della SAU. E nel panorama nazionale, scopriamo che nel settore cerealicolo le Marche non sono affatto una piccola regione, ma occupano anzi i primissimi posti sia in termini quantitativi che qualitativi. Per la produzione di frumento duro e di orzo, le Marche sono addirittura tra le prime tre regioni d'Italia. Per secoli le nostre farine sono state utilizzate per la produzione di pane e pasta fatti in casa. Ogni famiglia provvedeva in proprio alla panificazione che si effettuava in genere una volta alla settimana o anche ogni quindici giorni. Già questo particolare deve farci riflettere sulla qualità che doveva avere un prodotto che poteva essere consumato in un lasso di tempo così lungo.

 

Oggi, con la maggior parte dei prodotti in commercio, è già impensabile mangiare il pane "vecchio" di tre giorni; figuriamoci che cosa potrebbe avvenire dopo due settimane. Ma ancora oggi è possibile, nelle Marche, gustare il buon pane di una volta; tant'è che nell'elenco regionale dei prodotti tradizionali hanno trovato posto due tipi di pane: il primo, il Pane di Chiaserna ha una diffusione molto circoscritta, l'altro, invece, il Pane a lievitazione naturale, è prodotto su tutto il territorio regionale. Ciò che accomuna entrambe le tipologie di pane è la lunghezza e la laboriosità della preparazione, in particolare della lievitazione che deve essere lenta e avvenire in più fasi successive.

 

IL PANE DI CHIASERNA
Questo prodotto è originario di Chiaserna di Cantiano, in provincia di Pesare e Urbino ma è diffuso anche nelle zone circostanti. Viene commercializzato sia in file da mezzo chilo che da un chilo e si presenta a forma di filone, legger-mente schiacciato, con la crosta dal caratteri-stico colore dorato. La preparazione della massa avviene in tre fasi: la prima prevede l'impiego di una parte di farina nella quale viene aggiunto il lievito naturale sciolto in acqua tiepida salata. Si impasta bene e si lascia fermentare per almeno 4 ore; dopodiché si riprende l'impasto, si aggiungono altra farina e acqua, si lavora e si lascia riposare per altre 4 ore. A questo punto, si aggiunge l'ultima parte di farina, si unisce il lievito di birra sciolto in acqua e si impasta il tutto molto accuratamente formando i classici filoni a forma allungata che si segnano nella parte superiore, si lasciano fermentare e si mettono, infine, a cuocere nel forno a legna. Un altro segreto di questo pane sta nell'acqua utilizzata: un'acqua leggera, di sorgente, quasi un'acqua minerale che rende questo pane ancora più unico.

 

 

IL PANE A LIEVITAZIONE NATURALE
È il classico pane marchigiano che ripercorre la tradizione familiare del pane fatto in casa. Anche questo pane viene proposto nelle pezzature classiche da un chilo e mezzo chilo. Di forma ovale allungata, con crosta di colore dal dorato al marrone scuro e mollica porosa, di consistenza elastica nel pane fresco e man mano sempre più compatta nei giorni successivi. È un pane che rimane ottimo anche dopo diversi giorni dalla cottura. Per ottenere i lieviti di fermentazione, la farina di frumento tenero viene impastata con acqua e lasciata a riposo per alcuni giorni. La massa acida ottenuta (madre) si conserva a temperatura intorno ai 4° per circa 6 giorni. A tale massa, si aggiunge la farina fino ad ottenere una pasta spessa e consistente che viene lasciata lievitare al caldo, al riparo dalle correnti, per una notte intera. Quando il pane si faceva in casa, il luogo deputato alla lievitazione era la madia, in dialetto chiamata "matterà" ovvero un mobile di legno rettangolare, munito nella parte superiore di un coperchio sollevarle a cerniera. Il giorno successivo, alla massa lievitata si aggiunge altra farina e poi ancora acqua tiepida leggermente salata. Si impasta quindi il tutto fino ad ottenere un'amalgama morbida e compatta. Dopo averla lasciata riposare per un po', si cominciano a staccare dei pezzi di pasta di grandezza variabile a seconda della pezzatura di pane che si vuole ottenere, si modellano a forma di filone e si incidono con un coltello nella parte superiore. Le forme così ottenute vengono allineate su una tavola di legno, ricoperte con un telo e lasciate lievitare per altre due ore prima di infornarle nel forno a legna. Questo metodo di lievitazione può essere utilizzato anche per la produzione di pane biologico, pane integrale e pane con farina macinata a pietra.

 

LE PASTE
L'altro frutto del grano è rappresentato dalla pasta, alimento ormai insostituibile nella nostra alimentazione quotidiana. La categoria delle paste alimentari annovera tre prodotti nell'elenco regionale: si tratta dei Maccheroncini di Campofilone, dei Tacconi e dei Quadrelli pelusi. Sicuramente non sono questi i prodotti più diffusi tra le paste alimentari, considerando che non mancano, nei menù dei ristoranti marchigiani, ottime tagliatene fatte in casa o gustosi tortellini e ravioli anch'essi "casarecci". Si è semplicemente voluto inserire nell'elenco quei prodotti che più si distinguono dalla tradizione culinaria delle regioni vicine e che, in un certo qual modo, caratterizzano determinate realtà rurali proprie della nostra regione.

 

I MACCHERONCINI DI CAMPOFILONE
Detti anche capellini di Campofilone, questi sottili fili dorati sono una specialità ormai apprezzata in tutto il mondo. Numerose le testimonianze sto-riche che ci parlano di questo prodotto anche in epoche assai remote. Già nel '400, in una corrispondenza dell'Abbazia di Campofilone, troviamo una citazione che descrive una delle caratteristiche peculiari di questi "maccheroncini fini fini" dei quali si dice che erano "tanto delicati da sciogliersi in bocca". Nel 1560, eccoli ricomparire nientemeno che in mezzo ai documenti del Concilio di Trento. E poi ancora nelle ricette del 1700 e del 1800 tratte dai quaderni di cucina di alcune casate nobili come i conti Stelluti Scala e i conti Vinci. Attesissimo appuntamento annuale, la sagra che si tiene a Campofilone dal 1964. Ma cerchiamo di capire perché questo prodotto è così apprezzato.

 

Intanto occorre precisare che i maccheroncini si distinguono  dalle altre paste alimentari per essere impastati solo con uova di gallina nella proporzione di ben 10 uova per ogni chilo di farina. Si usa generalmente la farina di frumento duro anche se, a livello familiare, è frequente anche l'utilizzo di frumento tenero purché abbia glutine forte con notevole capacità di assorbimento. Le uova e la farina vengono innanzitutto impastate senza aggiunta di acqua; si passa quindi alla lavorazione dell'impasto che deve essere duro ed elastico e deve rimanere molto poroso. Con il mattarello, se ne ricava una sfoglia sottilissima, che deve risultare morbida come fosse di seta, la quale viene tagliata con un coltello affilatissimo fino ad ottenere i fili che devono essere sottili quanto più possibile. Con l'aiuto del coltello, i maccheroncini vengono quindi separati e disposti a treccia su un foglio di carta per alimenti dove devono restare per un periodo variabile tra le 24 e le 36 ore in modo da consentire l'essiccazione che porterà il prodotto a perdere oltre il 20% del proprio peso.

 

 

Superfluo precisare che tutte le  operazioni appena  descritte vanno effettuate rigorosamente a mano. I possibili abbinamenti dei maccheroncini sono diversi. Qualcuno preferisce condirli con un ricco ragù preparato come una volta con abbondanti rigaglie di pollo o d'anatra e pecorino grattugiato a volontà. Altri, soprattutto lungo la costa, li trovano irresistibili con il sugo alla marinara sia con che senza pomodoro. Solo una cosa occorrerà tenere ben presente per non incappare in brutte sorprese al momento di servire in tavola: i maccheroncini, rispetto ad una pari quantità di tagliatene, assorbono molto più condimento e pertanto vanno conditi con estrema generosità.

 

I QUADRELLI PELUSI
Da un estremo all'altro, potremmo dire. Passiamo infatti da un prodotto che si distingue per essere impastato con sole uova ad un altro la cui caratteristica è quella di essere impastato senza uova. Un prodotto quindi assai rustico e il termine "pelusi" sta proprio ad indicare questa rusticità. I Quadrelli pelusi si presentano come dei piccoli quadratini di colore chiaro e sono utilizzati per la preparazione di minestre in brodo. Minestre un po' particolari in quanto nell'acqua dove vengono fatti cuocere i quadrelli si versa un soffritto di aglio e lardo. Per completare il piatto si spolvera abbondantemente di pecorino ben stagionato e pepe nero. Un piatto povero, in definitiva, che però vi farà apprezzare il gusto delle cose semplici.

 

I TACCONI
Dal pesarese, in particolare dal comune di Fratte Rosa e dai vicini Barchi e Orciano di Pesaro, giunge il terzo prodotto della categoria delle paste alimentari. Si tratta di un altro piatto povero, un classico esempio di come si possa fare di necessità virtù. Un tempo, infatti, quando anche la farina di grano era considerata un lusso, si usava mescolarla con altri tipi di farina più economici, tra cui quella ottenuta dalle fave. Da questa usanza, sono nati i tacconi , detti anche "tacòn". Si preparano impastando farina di grano tenero, farina di fave secche, uova e acqua. Ottenuto un impasto compatto ed elastico si inizia la preparazione della sfoglia con il mattarello o, come si usa chiamarlo da queste parti, il "rasagnòl". La sfoglia deve rimanere piuttosto spessa e va tagliata a strisce a mo1 di tagliatene. Sapidi, pastosi e delicatamente dolciastri, i tacconi si sposano magnificamente con il sugo ai funghi di bosco ed è proprio così che si preferisce condirli a Fratte Rosa.

 

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