Epilogo
 

Nel 2001 mio nipote Nicholas trascorse cinque mesi del suo ventunesimo anno di vita in Italia. Nicholas, il maggiore dei miei nipoti, il figlio di Ronda, che a tredici anni era stato portato in Italia dai genitori, contro la sua volontà esternando un forte malcontento rispetto a questo viaggio. Aveva odiato quella traversata interminabile (all'epoca aveva paura di volare anche per tratte decisamente più brevi) le visite a chiese e monumenti, le cene dai parenti durante le quali non riusciva a comprendere nulla di ciò che veniva detto. Ora, ormai un ragazzo, aveva scelto di tornarci.

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Quando andai in Italia per la prima volta, avevo quaratun'anni e dopo quel viaggio fatto nel 1966, ci tornai nel 1987 quando la mamma mi convinse a partire e, di nuovo, dopo la sua morte. Nelle cittadine in collina vicino Baglio, dove vivono i cugini di Mac che hanno tutti tra gli 80 e i 90 anni, ancora raccontano storie sulla sua partenza e sulle cose che facevano insieme da bambini. Mi viene mostrata l'abitazione in cui nacque sua nonna. Ora e allora, uno dei conoscenti entrava dicendo "Sono venuta a salutare la moglie di Ugo", il nome con cui chiamano Mac nel paese in cui è nato. Una giovane donna, la figlia di uno dei suoi cugini, mi viene a cercare nella casa in cui sono ospite per il pranzo. Vuole mostrarmi come ha modificato la casa in cui è nato Ugo, che ora appartiene a lei. Mi da un pacchetto da riportare in California contenente: funghi porcini che aveva raccolto in queste montagne e poi essiccato. Mi fanno questi doni perché sono la moglie di uno di loro, la moglie di Ugo. A Pesaro, durante quel primo viaggio, ho incontrato tutti gli zii, le zie e i cugini che compongono la famiglia di cui mi sono sempre sentita privata. Per queste persone, Carlo era quasi una leggenda e noi fummo trattati di conseguenza, perché ero sua figlia, la figlia di Carlo.

 

Nei ventun'anni che trascorsero tra il primo e il secondo viaggio in Italia, tranne che per lo scambio di poche e occasionali lettere, i miei contatti con questi parenti furono rari. Le nostre figlie acquisirono più confidenza con loro di quanto non feci io in quel viaggio iniziale che facemmo tutti sei insieme, ma per i miei parenti non fui mai la mamma di Ronda (o di Carla o di Paula), rimasi semplicemente Lorraine, la figlia di Carlo e Maria. Quando vado a Pesaro, le mie giornate sono intense: ogni istante è occasione di chiacchiere e risate, cibo e abbracci, baci e lacrime. La maggior parte degli anziani, quelli che conoscevano i miei genitori, sono morti; Agostino, il cugino di mio padre, è l'unico rimasto tra quelli che hanno condiviso la casa con mio padre e sono cresciuti insieme a lui. Oggi lui è affetto dall'Alzheimer, all'inizio mi guarda sconcertato, poi mi riconosce dopo qualche istante e allora mi bacia con entusiasmo entrambe le guance. Sono Lorraine, la figlia di Carlo.

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Nicholas non conobbe mai il suo bisnonno Carlo e conobbe sua nonna Maria solo nel modo in cui un ragazzo può conoscere una persona molto anziana di cui rimane solo una vaga somiglianza con ciò che era stata un tempo. Quando Nicholas decise di frequentare un semestre del suo corso universitario in Italia, proprio come aveva fatto Ronda trent'anni prima, lo incoraggiammo. Comprendemmo che aveva meditato questa scelta dopo la morte di Mac, forse ricordando che era stato riluttante a fare quel primo viaggio in cui visitò il luogo di nascita di suo nonno. Nell'anno in cui s'immatricolò, iniziò a studiare italiano e a tentare di parlarlo quando tornava a casa. Dopo quattro semestri acquisì un'ottima comprensione ma mi faceva soffrire il fatto di dover, a volte, aspettare a lungo in silenzio prima che pronunciasse, dopo vari tentativi, il termine corretto, mentre avrei voluto suggerirglielo io per non vederlo affannarsi. Eppure non avevamo dubbi, sapevamo che avrebbe ottenuto ottimi risultati l'estate successiva al suo secondo anno di studi e in seguito al rientro a casa per le vacanze di Natale.

 

Io e Ronda lo martellammo affinché si documentasse sui parenti italiani così da riconoscerli, come facemmo io e mia madre con Ronda. Gli facemmo un corso intensivo per spiegargli tutte le relazioni di parentela, inoltre ricevette i consigli delle zie Carla e Paula, basati sulla loro esperienza in Italia: "Queste sono le persone che devi cercare appena arrivi", "Queste sono le persone che ad un certo punto devi cercare di conoscere", "Porta sempre qualcosa quando vai a trovarli: vino, pasticcini, fiori" "Assaggia un po' di tutto ciò che ti viene offerto". Fummo tutte concordi nel raccomandargli di scegliere un ateneo che fosse a una distanza tale da poter trascorrere il fine settimana sia a Pesaro sia a Genova, ma abbastanza lontano da entrambe le città per essere comunque autonomo. Scelse Padova dove visse a casa di una coppia di italiani.

 

Nicholas era ripartito dall'Italia pochi mesi prima che io vi andassi per la mia ultima visita, nel 2001. "Quel Nicholas" sentii ripetere molte volte dalle persone che lo avevano incontrato "intelligente, un genio". "Parla italiano perfettamente" mi dissero "usa coniugazioni che non usiamo neppure noi, poi stava seduto a tavola col suo computer, facendoci tante domande". Le risposte a quelle domande ora formano un albero genealogico composto di più di trecento nomi, con informazioni molto dettagliate, compreso l'indirizzo e-mail di molti di loro. Ogni volta che incontravo un bambino o un ragazzo che non mi conosceva, venivo presentata come la nonna di Nicholas. Dopo un po' di tempo notai che i parenti e gli amici italiani percepivano la mia identità in modo del tutto nuovo. Fu solo quando tornai a casa che capii. Dopo 35 anni in cui fui identificata come la figlia di Carlo e Maria o come la moglie di Ugo, mi ero 'evoluta' - in soli pochi mesi - diventando la nonna di Nicholas, come ancora oggi sono conosciuta tra i giovani.

 

Le prime volte in cui accadde, fui proprio divertita e orgogliosa dell'impressione che mio nipote aveva fatto. Quando nel tempo si ripetè, avvertii un pochino di tristezza pensando che Carlo, Maria e Ugo sarebbero stati dimenticati dalle persone che oggi vivono nei luoghi dove loro trascorsero la giovinezza e che la storia della loro emigrazione in America forse avrebbe perso importanza. Ma una delle vecchie massime di mia madre mi risuona in testa: "La vita è una ruota che gira". La ruota ha percorso il giro completo. Nicholas, il primogenito della terza generazione americana della nostra famiglia ha completato il suo percorso per raggiungere le sue origini. Spero con tutto il cuore che Daniel e Adam vorranno fare lo stesso un giorno. Forse con il tempo i legami di sangue si faranno più deboli, ma ci sarà un momento in cui i miei nipoti riconosceranno quelle caratteristiche di se stessi, che costituiscono metà di ciò che sono, come fondamentale eredità dei quattro bisnonni immigrati italiani.

 

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