Il viaggio
 

I primi giorni del 1921 la famiglia di Carlo si vide recapitare il denaro necessario per la traversata di Maria e i documenti che le sarebbero serviti per raggiungere gli Stati Uniti. Maria aveva quasi ventidue anni e sua madre era morta poche settimane prima. Eravamo tutti convinti che io e Carlo, dopo aver messo da parte denaro sufficiente per acquistare un pezzo di terreno, saremmo tornati per andare a vivere con la sua famiglia. Mia madre era in apprensione per il fatto che avrei sposato un uomo con una famiglia così numerosa, poiché sapeva che ero abituata alla nostra piccola famigliola - prima in quattro: mio padre, mia madre e mia sorella, poi in tre, dopo le nozze di mia sorella. "Credo che mia madre sapesse che stava morendo. Mi disse: 'Non andare in America, promettimi che non partirai'. Forse si preoccupava per mio padre, che sarebbe rimasto solo, così le promisi che non me ne sarei andata". Fu suo padre a farle cambiare idea. "Devi andare in America" le disse "se pensassi che ti potresti trovare male, ti legherei alla testiera del letto per non farti partire, ma so che là avrai una vita migliore.

 

Parti Maria, ti sto liberando dalla promessa fatta a tua madre". Malgrado la profonda sofferenza per il fatto che stava per perdere entrambi i genitori nell'arco di quattro mesi, Maria decise che avrebbe onorato la parola data a Carlo e ogni volta che, nei mesi seguenti, la sua risolutezza si affievoliva, suo padre fu sempre pronto a ripeterle: "Voglio che tu vada". Maria, suo padre e la famiglia di Carlo iniziarono i preparativi per il viaggio che l'avrebbe condotta a San Francisco per il suo matrimonio. Maria Barbieri sapeva solo vagamente che la California era estremamente lontana, in America, un posto dove lei e Carlo sarebbero dovuti rimanere solo pochi anni. Dal suo paese, Montecchio, in provincia di Pesaro, Maria mosse il primo passo verso ciò che sarebbe stato il viaggio più importante, dall'altra parte del mondo. Viaggiò lungo la costa Adriatica fino a Fano, con Giuseppe, lo zio di Carlo, sul piccolo calesse trainato da cavalli. Il denaro che Carlo le aveva spedito, le garantì un passaporto e il viaggio. Rispettando la richiesta che il figlio aveva fatto alla famiglia, lo zio Giuseppe, accompagnò Maria a scegliere l'anello di fidanzamento; lei si dimostrò estremamente saggia nell'acquisto, consapevole delle condizioni in cui versava la famiglia dello sposo.

 

Alcune settimane prima della partenza per l'America, Terenzio, il fratello di Carlo, la portò alla stazione di Fano, dove incontrò i sei paesani con i quali avrebbe affrontato la traversata atlantica. Erano tutti di Pesare o delle zone limitrofe e Maria li stava raggiungendo per andare con loro a Roma, dove avrebbero ritirato i passaporti. Era il suo primo viaggio in treno e la prima volta che vedeva una grande città. Nel poco tempo che rimaneva, dopo aver assolto agli obblighi burocratici, riuscì a far visita alla sua zia preferita, che viveva a Roma e a volte li andava a trovare a Montecchio. Zia Anna era la sorella di suo padre e Maria ci teneva particolarmente a rivedere lei e suoi cugini. Aveva così tanta paura di perdersi che imparò a memoria l'indirizzo della zia: "II suo cognome da sposata è Piobici, Via Trasimeno, Vicolo Santa Costanza n°17". Il 19 maggio 1921, il giorno della sua partenza, salutò sua sorella Irma, che viveva nella casa a fianco con due bambini piccoli. "Olivio aveva cinque anni e lo adoravo; stava spesso con me, ma quando partii non volle né salutarmi, né darmi un bacio. Il piccolo capì che eravamo tutti tristi e non sapeva come comportarsi". La famiglia di Carlo invitò Maria e il padre in occasione dell'ultimo pranzo che avrebbero consumato insieme. I due s'incamminarono dalla loro casa, trasportando il piccolo baule di Maria su un carrello. Andarono a piedi da Montecchio a Montelabbate, attraversando il ponte di legno sul fiume Foglia; lo stesso tratto che Carlo aveva percorso tantissime volte quando le faceva la corte.

 

Dopo pranzo, fu nel cortile della famiglia Paolucci che la futura sposa disse addio alla famiglia del suo promesso e al suo inconsolabile padre. Lui abbracciò la figlia e la baciò sulle guance, un gesto d'affetto tanto raro da non avere precedenti. Maria montò di fianco a Terenzio, sul "biroccino con una cavalla bianca" che si allontanò a poco a poco. "All'inizio non riuscivo a vedere mio padre, era nascosto dietro al pagliaio e ci stava camminando attorno mentre con lo sguardo seguiva il piccolo calesse. Continuammo a fissarci fino alla curva successiva, quando lui sparì dalla mia visuale". Non lo vide mai più. "Non piansi; avevo imparato, dalla morte di mia madre, che se avessi cominciato a piangere, avrei perso il ; controllo. Il giorno del suo funerale, infatti, ebbi quasi le convulsioni: le gambe e le dita mi si irrigidirono. Un vicino mi aiutò. Rimpiangerò sempre di non essere stata al funerale di mia mamma e da allora ho il terrore di piangere ancora. Ho imparato a trattenere le lacrime". Terenzio la condusse alla stazione di Fano dove incontrò nuovamente le sei persone con le quali avrebbe viaggiato verso l'America. Per il resto della sua vita, non ricordò più nulla di loro, o almeno niente di così importante di cui serbare memoria. Malgrado la traversata oceanica in loro compagnia, ricordò solo che soffrirono tutti quanti il mal di mare per quasi l'intera traversata. Fu la paura dell'ignoto che la spinse a stare da sola? Il suo dolore per il distacco da entrambi i genitori? La sua timidezza? Eppure in qualche misura quegli sconosciuti le diedero conforto: giungevano da paesi vicini al suo e i dialetti che parlavano le erano familiari, mentre sulla nave la maggior parte delle persone proveniva da posti di cui lei non comprendeva affatto i dialetti.

 

A Fano iniziarono quella che sarebbe rimasta una conoscenza superficiale, viaggiando di notte sul treno per Napoli. Salparono il 20 maggio e il ricordo più forte di Maria è il viaggio in terza classe. L'imbarcazione era una nave mercantile, convertita da trasporto merci a trasporto di immigranti. "Non c'erano sale da pranzo e i pochi bagni erano talmente sporchi che con difficoltà potevo sopportare di entrarci". Tutto lo spazio disponibile sottocoperta era utilizzato per file e file di letti a castello, uno sull'altro. A Maria venne assegnato uno dei letti più in alto, fortunatamente lontano dall'andirivieni delle due persone che occupavano i posti sotto il suo. Pagò questa relativa privacy con la mancanza d'aria e il calore che si accumulava in quello spazio angusto vicino al soffitto. Le famiglie erano divise: le donne e i bambini in una zona, uomini e ragazzi in un'altra. Era sola in mezzo a sconosciuti di cui non si fidava e di cui non comprendeva i discorsi e il suo mal di mare peggiorò a causa del fetore proveniente dai secchi posizionati sotto i letti e usati come gabinetti. Una volta, mentre era stesa, nauseata da quel tanfo, le venne in mente che suo padre le aveva regalato un bottiglia di vermouth come rimedio a eventuali disturbi di stomaco.

 

Quella bottiglia aveva rappresentato un raro lusso per la sua famiglia e suo padre le aveva attribuito un potere medicamentoso, forse per il costo tanto elevato. Si mise a sedere sul letto, si piegò raggiungendo il baule ai suoi piedi e vide che il laccio era stato slegato. "Una di quelle donne, forse ancor più povera di me, me l'aveva rubata". Fortunatamente non era stato preso altro; le rimanevano i suoi abiti e i pochi pezzi della sua dote, e i suoi preziosi ricordi d'oro le erano indosso: gli orecchini ricevuti dal padre, una catenina e un ciondolo donati da sua sorella, l'anello di fidanzamento e, il più caro di tutti, la fede nuziale di sua madre. Ai passeggeri era concesso di salire sul ponte in gruppi e a turno, sia per consumare i pasti sia per prendere un po' d'aria. "Mi dicevano che mi sarei sentita meglio se avessi mangiato, così ogni volta che non mi sentivo troppo male da non riuscirci, mi mettevo in coda per il cibo con i miei sei paesani'. Loro mangiavano seduti sotto il sole su mucchi di corda avvolta su se stessa. Ogni famiglia utilizzava i propri piatti, tazze ed altri utensili riposti in una sacca e sciacquati a turno dopo ogni pasto, sotto getti di acqua fredda. Non c'era nulla da fare e quei giorni divennero interminabili. Le capitava, dopo un pasto, di osservare alcune madri mentre cercavano i pidocchi sulle teste dei figli appoggiate sul loro ventre. In questa coabitazione, si sentiva sporca e a disagio.

 

All'arrivo a Ellis Island, subì Tonta della consueta disinfestazione dai pidocchi, durante la quale degli sconosciuti la lavarono e le applicarono lozioni sulle lunghe ciocche nere. Si vergognava sia perché si sentiva sporca, sia per il fatto che delle persone a lei estranee e con le quali non poteva neppure parlare avevano autorità sul suo corpo. Venne separata dai suoi compagni di viaggio, i quali furono congedati prima di lei e non li vide mai più. Dopo aver vistato i suoi documenti e dopo una visita medica, i funzionari dell'ufficio immigrazione controllarono il suo portamonete, riscontrando che non aveva sufficiente denaro per un biglietto ferroviario per San Francisco. La famiglia di Carlo aveva pagato soltanto fino a New York; probabilmente perché non sapeva quanto fosse lontana la California da lì, pertanto Maria fu trattenuta due notti in quell'isola, in attesa di ricevere il denaro inviatole da Carlo. Fu comunque un sollievo essere sulla terra ferma, in un luogo pulito in cui poteva lavare via ogni traccia del suo viaggio in mare. Appena arrivarono i soldi, fu caricata su un traghetto che l'avrebbe condotta alla stazione di New York, le venne applicata sugli abiti una sorta di targhetta con la destinazione e le fu consegnato un pranzo al sacco. Fino a quando non incontrò Carlo, non tolse mai quella targhetta, sulla quale c'era scritto "Non avere mai paura di perderti; arriveresti anche se fossi un sacco di patate"; e in effetti, lei arrivò da lui sana e salva, dopo essere stata sballottata proprio come un bagaglio.

 

Il suo pranzo al sacco fece una fine ancor più triste: quando le venne fame, scartò un panino con delle sardine in scatola che lei non aveva mai visto prima di allora; il loro aspetto e il loro odore le sembrò così repellente che, malgrado la fame, gettò il panino fuori dal finestrino del treno in corsa. Una banana incontrò lo stesso destino, poiché non sapeva bene come sbucciarla. Tutto ciò che mangiò di quel pasto confezionato per lei, fu una mela. Per il resto del viaggio vinse la fame con frutta che riusciva a riconoscere e merendine che comprò dagli ambulanti. Trascorse sul treno molti giorni e molte notti. Ogni volta che fosse necessario cambiare, qualcuno controllava il biglietto che portava appeso al soprabito e la portava nella zona della stazione dove lei avrebbe dovuto attendere che, al momento opportuno, qualcun altro le mostrasse il nuovo treno. Alla fine raggiunse l'Oakland Mole, il capolinea dal quale i passeggeri s'imbarcavano per San Francisco. Sul traghetto incontrò un uomo che parlava italiano e che le disse di conoscere molto bene San Francisco offrendosi di scortarla ovunque stesse andando. Era sospettosa (lo era stata fin dal primo istante in cui aveva lasciato Montecchio) e temeva che, una volta sbarcati, lui le avrebbe rubato il bagaglio e che per riprenderselo, sarebbe stata costretta a inseguirlo. Con grande sollievo, al porto, fu chiamata attraverso l'altoparlante e, come le era stato ordinato, si presentò allo sportello dell'ufficio assistenza dove le comunicarono, in italiano, che il suo fidanzato la stava aspettando in fondo alle scale. "Non ero solita guardarmi allo specchio preoccupandomi di essere carina, ma non posso pensare a com'ero quel giorno!" Maria lo vide subito, dalle scale.

 

Era vestita completamente di nero, ancora in lutto per la morte della madre, con i capelli tutti spettinati, il viso arrossato a causa del vento salato della baia e dall'emozione di ritrovarlo. "Qualunque fosse il mio aspetto, era felice di vedermi. Mi abbracciò". Maria era timida con l'uomo che non vedeva da quasi un anno e con cui aveva condiviso solo cinque mesi di fidanzamento, inoltre era ancora confusa da quanto stava vivendo: le persone si salutavano gridando in strane lingue, alcune indossavano abiti che non aveva mai visto prima. Fuori dagli uffici del porto, tram e automobili andavano velocissimi, sferragliando e facendo un gran baccano coi clacson. Vide le colline di San Francisco, con file e file di case di legno e Carlo indicò Telegraph Hill, dove l'avrebbe portata a vivere. Restarono soli nell'appartamento di North Beach in cui Carlo viveva con amici provenienti dal suo stesso paese. Carlo aveva cucinato piatti che le avrebbero dato gioia, piatti speciali poiché familiari. Lo vide togliere un pollo lesso da una pentola molto capiente e, nel brodo, cuocere la pastina. Dopo la minestra, mangiarono il pollo con pane e insalata. Maria non lo aiutò ma osservò il modo in cui preparava ogni cosa. Lei aveva sempre cucinato utilizzando un forno a legna e non aveva mai visto una stufa a gas che si accendeva semplicemente con un fiammifero. Sulla nave e a Ellis Island, aveva visto e usato impianti idraulici moderni eppure le sembrò incredibile vivere in una casa dotata di acqua corrente. Dopo cena Carlo contò i soldi che aveva in tasca e quelli riposti nel borsellino di Maria: 35 dollari in totale. Lei non aveva idea del loro valore ma l'espressione compiaciuta di lui fu sufficientemente eloquente. Carlo aveva saldato il debito per il suo viaggio, aveva messo da parte abbastanza denaro per fare arrivare Maria in America e ora potevano iniziare la loro vita insieme.

 

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