Il viaggio

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Durante gli anni trenta, fino all'apertura del Golden Gate (nel 1937) per i sessanta chilometri di viaggio verso la fattoria occorreva così tanto tempo che solitamente andavamo per il fine settimana. Il sabato mattina presto nel baule della Nash di mio padre caricavamo: una cassetta con un coperchio chiuso a chiave e legata saldamente con dei nastri di pelle; alcuni cambi d'abito; prodotti acquistati al supermercato che non era possibile trovare in campagna o che Gigi avrebbe disapprovato e pertanto non avrebbe mai comprato; il fucile a pallettoni di mio padre nell'eventualità che avesse visto un fagiano, una lepre o un piccione con cui preparare il sugo della domenica. Dal confine sud di San Francisco, dove vivevamo, attraversavamo tutta la città passando per vie e quartieri fino a raggiungere il molo di Hyde Street, in fondo alla collina, sotto la fabbrica di cioccolato Ghirardelli.

 

In quel punto attendevamo in macchina che il traghetto successivo, in arrivo da Sausalito, ormeggiasse per poi salirvi percorrendo la passerella. Una volta a bordo salivo le scale d'acciaio per andare al bar sul ponte, dove spendevo il mio nichelino per un Milky Chew (torrone duro ricoperto di cioccolato), poi mi affacciavo al parapetto per osservare l'acqua e le barche che passavano, cercando di far durare il mio dolcetto fino alla fine dei quindici minuti della traversata. Dall'altra parte c'erano delle colline da percorrere su strade piene di curve per arrivare all'autostrada 101 a due corsie. Io sopportavo in silenzio la prigionia del sedile posteriore cercando di scorgere, fuori dal finestrino, riferimenti familiari: insegne stradali, un enorme pollo di cemento a lato della strada, proprio prima di Petaluma. Sausalito, San Rafael, Novato, Petaluma, Cotati. Infine Irwin Lane, dove svoltavamo per percorrere le poche miglia di strade di campagna rimaste per raggiungere il ranch: allora sapevo che eravamo quasi arrivati.

 

Quando Gigi, Filuma e Gus riconoscevano il rumore delle nostre ruote sulla ghiaia del loro cortile e sentivano abbaiare i cani, abbandonavano il lavoro e correvano a festeggiare il nostro arrivo. Gus (che aveva dodici anni più di me) mi guardava e mi prendeva in giro dicendo "Perfetto! Sono arrivati i furbacchioni di città!" Nella tarda mattinata, cioè nel momento in cui solitamente arrivavamo, i Sanchietti dovevano ancora terminare le loro mansioni. Chiacchieravamo felicemente per qualche minuto, mentre noi scaricavamo l'auto, poi papa si univa a qualunque lavoro stessero facendo in quel momento Gigi o Gus. Io potevo esplorare le meraviglie, a me familiari, delle costruzioni adiacenti alla casa (il granaio, la stanza dove c'era la pompa per il rifornimento di carburante, il porcile, i pollai) da cui potevo vedere file e file di alberi da frutto. Mamma e Filuma entravano nel seminterrato per scegliere il menu del pasto di mezzogiorno. La mamma indossava il suo grembiule e Filuma riprendeva i suoi lavori fuori casa, lasciando che l'amica si occupasse della preparazione del pranzo.