La prima figlia
 

 

Non ci fu mai dubbio sul fatto che Carlo e Maria avrebbero avuto un bambino, l'incertezza riguardava solo il quando, determinato esclusivamente dalla possibilità economica. Avevano sempre pensato che un giorno sarebbero tornati a vivere in patria. Le notizie che ricevevano dall'Italia, tramite lettere che per arrivare ci impiegavano almeno un mese, giungevano sempre tramite il fratello di Carlo o la sorella di Maria, poiché i rispettivi genitori non sapevano né leggere né scrivere. Le lettere raccontavano che i genitori di Carlo avevano acquistato una fattoria e si erano allontanati da tutta la numerosa famiglia. Ora il futuro sembrava promettente per i miei nonni, tuttavia mandarono il figlio in America poiché temevano che nel momento in cui Vincenzo si fosse sposato, non sarebbero stati in grado di mantenere un'altra famiglia. Carlo e Maria pensarono seriamente al futuro; era il momento giusto per allargare la famiglia, ma dove? "O torniamo in Italia ora o, se decidiamo di avere il bambino qui, qui resteremo" le disse Carlo. Sarebbe stata una scelta decisiva e ne parlarono a lungo e intensamente. Entrambi erano propensi a restare. Il lavoro di Carlo come intonacatore stava andando bene e si attendeva anche un aumento del volume degli affari. Maria non lo disse a Carlo ma ricordò le parole di sua madre: "Non sei tagliata per lavorare la terra e vivere in una grande famiglia". Dal canto suo non desiderava di certo essere una delle tre donne di casa (una suocera che conosceva appena e una cognata che non conosceva affatto) malgrado ora la famiglia fosse ridotta e dalle diciannove persone con le quali era cresciuto Carlo, i componenti fossero rimasti in sette. Esisteva anche una motivazione più valida per la quale Maria non voleva tornare in Italia: suo padre era morto dopo un forte, quanto improvviso infarto. La sua morte consentì a sua sorella Irma di lasciare Montecchio per raggiungere il marito in Francia, dove era emigrato sette anni prima. "Carlo, non ho nessuno che mi aspetta, la mia famiglia non c'è più". Lui comprese quanto sarebbe potuta essere dolorosa per lei la prospettiva di un ritorno in patria e iniziò a immaginare un luminoso futuro in America, indipendenti dalla famiglie d'origine e lontani dalla vita contadina. "Allora Maria rimaniamo qui?" "Sì, restiamo". Ho ascoltato la storia della mia nascita e l'ho sentita ripetere quando mia madre la raccontava alle amiche, ogni volta che ce n'era una incinta, infatti le donne si scambiavano racconti sulle rispettive gravidanze. Fu Maria Riceci a consigliare mia madre durante la sua gravidanza; le disse cosa le sarebbe potuto occorrere per il parto in casa, le indicò come riferimento il Dottar Calvi, il medico vicino di casa al quale lei e le amiche si rivolgevano per ogni necessità clinica personale e della famiglia.

Maria, Carlo & Lorraine

San Francisco, 1928

 

Quando iniziarono le doglie, Maria Riceci e una levatrice fecero a turno per aiutarla durante il lungo travaglio, il dottore passava solo a intervalli di qualche ora per controllare a che punto fosse. "I dolori mi si fermavano appena sentivo Vincenzo entrare in casa, non volevo fare rumore, mi vergognavo di lui". Una tale timidezza era causata dal fatto di aver un diciannovenne in giro per casa, "Ho detto a tuo padre di far uscire Vincenzo fino a quando non fosse nato il bambino, e lui l'ha mandato via". Tra una contrazione e l'altra rivedeva le immagini del giorno in cui sua sorella Irma aveva dato alla luce il primo figlio. Irma era tornata nella casa dei genitori ed era andata nella loro camera da letto. Maria, allora sedicenne, fu mandata nella sua stanza dalla madre. "Ma potevo udire tutto. Nessuno mi aveva informato della gravidanza di Irma, perché non usava parlare di queste cose con una ragazzina!". Alla fine, comunque, Filomena ordinò a Maria di lavare le lenzuola e gli abiti utilizzati durante il parto. "Era inverno" raccontò Maria "mia madre non era in buona salute, dunque non poteva andare alla fonte, mi disse che toccava a me". "Sei l'unica che può farlo" disse Filomena a Maria "prendi questo fagotto e va' alla fontana.

 

Se qualcuna delle donne che è lì ti osserva o ti dice qualcosa, tu tieni la testa bassa e la bocca chiusa, fai solo il tuo lavoro". Con tutti questi ricordi di divieti e inibizioni che le affollavano la mente, Maria non poteva certo riuscire a rilassarsi, inoltre si bloccava a ogni rumore che poteva sembrare l'ingresso di Vincenzo in casa, finché Carlo non la rassicurava ogni volta. Nacqui nella casa di Lombard Street, il 17 febbraio 1925. Il Dottor Calvi andò in cucina da mio padre e gli disse: "Signor Paolucci, è andato tutto bene, è una bambina". L'immediata reazione di Carlo fu una grande gioia e sollievo, comune a tutti i padri che hanno atteso con ansia la nascita dei loro figli. In seguito, quando tutti gli domandarono se sarebbe stato più felice se avesse avuto un maschio, rispondeva: "Sono contento che è una femmina, così non dovrà mai partire per il servizio militare, come ho fatto io". Maria Riceci fu presente alla mia nascita e anche dopo per insegnare a mia madre come allattare e come avvolgere il piccolo corpo della neonata con delle lunghe fasce di tessuto. Quando, dopo alcuni mesi notò che le energie di mia madre si stavano esaurendo a causa del crescente quantitativo di latte succhiato dalla bambina, le disse: "Sei matta a farla poppare tutto il tempo? È ora di darle la pappa" e le mostrò come bollire il pane nel brodo di pollo. Mia madre mi chiamò Filomena.

 

Quando avevo solo pochi giorni, una vicina andò a fare visita alla neomamma e alla bimba. "Maria" le disse "questo non è un nome che si usa in America, la devi chiamare con un nome che sia più americano". Dato che mia madre non ne conosceva, Ida l'aiutò a sceglierne uno e così divenni Lorraine Filomena. La lingua americana fu un problema per i miei genitori ancora per qualche anno. Mi parlarono in italiano sin da quando ero nel ventre materno. Mio padre era appena rientrato dal lavoro. "Maria" disse alla sua sposa incinta "non si deve parlare in dialetto, non siamo più nel nostro paese. A volte non capisco gli altri lavoratori italiani quando parlano il loro dialetto. Sarebbe un bene per il bambino se si cominciasse a parlare italiano". "Hai ragione" convenne Maria "d'ora in poi si deve provare". Nessuno dei due aveva orecchio per i dialetti, che in realtà potevano variare molto dall'italiano: le persone provenienti da Venezia, dalla Sicilia o da Milano sembrava parlassero delle lingue diverse.

 

Non ho mai imparato a parlare il dialetto marchigiano dei miei genitori o più precisamente, il pesarese, ma l'ho sentito così spesso quando eravamo in compagnia dei paesani che l'ho sempre capito. L'americanizzazione dei miei genitori iniziò quando se ne andarono da North Beach. Avevano risparmiato sufficiente denaro per il parziale acquisto di una casa, e saldarono il resto grazie a un prestito della Banca d'Italia Giannini. Nei primi mesi del 1926, acquistarono la loro casa in una zona periferica della città, seguendo le orme di altri italiani che, prima di loro, appena arrivati in America, avevano vissuto ammassati a North Beach, poi si erano sparpagliati nei dintorni. Avevo dieci mesi e fu nella casa di Brazil Avenue che avrei trascorso i successivi ventotto anni della mia vita.

 

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