Le sorelle |
Avevo sei anni quando nacque prematuramente la mia sorellina Ada, dopo che mia madre scivolò e cadde; dovette rimanere a letto per due settimane prima della nascita della bambina. Nel 1931 era di routine ricoverare una donna per una settimana dopo il parto, ma mia madre rimase al St Luke per quindici giorni. Quando papà lavorava, si prendeva cura di me la nostra vicina Caterina. Andavamo sempre a trovare la mamma che stava su un letto bianco, in una corsia con le pareti bianche. Le pazienti erano separate da tende bianche che potevano essere tirate all'occorrenza. "Tornerò a casa presto" mi rassicurava la mamma, ma io non ero triste, papà era bravo e la mia ricompensa per l'assenza della mamma, sarebbe stata la mia piccola sorellina. "Fa' la brava" mi diceva con quel tono così familiare, anche perché io sapevo essere solo così: brava. Quando mia sorella fosse cresciuta un po', forse avrei trovato una compagna con cui combinare delle marachelle. Sebbene non fosse una donna di salute cagionevole, la mamma passò molto tempo a letto, dopo il suo ritorno dall'ospedale. Aveva partorito me, una vigorosa bambina di dieci libbre, in una camera dell'appartamento di North Beach, in Lombard Street. Mia mamma e le altre donne italiane si prendevano cura l'una dell'altra durante la quarantina, i quaranta giorni successivi alla nascita del bambino, periodo in cui certe attività diventavano tabù, come sollevare dei pesi o immergere in acqua una qualsiasi parte del corpo. Le amiche venivano a fare il bucato, lavare i piatti e aiutare la mamma a fare le spugnature. Così, oltre al trauma reale subito dal suo corpo per mettere al mondo Ada, mia madre dovette patire anche questa invalidità impostale dalla tradizione. |
Le lunghe settimane prima e dopo il parto si rivelarono periodi di malattia, convalescenza, morte, dolore oltre che di difficoltà a livello economico. Per me fu un momento fatto di grandi misteri: una madre che non mi aveva mai parlato del fatto che un bambino stesse crescendo dentro di lei, ma che aveva promesso, insieme a mio padre che mi avrebbero presto comprato un fratellino o una sorellina; una madre che improvvisamente fu costretta a letto e che poi ci abbandonò per andare in ospedale. Ne avevo passate troppe per comprendere, dopo la nascita, che la bambina proveniva dal corpo della mamma: non sapevo come vi fosse entrata, né tanto meno come ne fosse uscita. "Ti ho trovata sotto il cespuglio di rosmarino nel cortile dietro casa" fu la sua risposta quando le chiesi da dove arrivassero i bambini. Non le dissi che non le credevo. Sono sicura che per lei sia stato un sollievo il fatto che io lasciai cadere il discorso. Era talmente pudica che le sarebbe risultato estremamente difficile affrontare argomenti legati al sesso. Era una persona laconica ma compresi anche che si trattava di un argomento di cui lei non riusciva a parlare. Sapevo che alcune donne avevano il latte nel loro seno perché mio padre e un altro neopapà ogni giorno attraversavano la città per acquistarlo e portarlo nella nursery dell'ospedale, al fine di integrare quello delle rispettive mogli, insufficiente a garantire la sopravvivenza dei figli. "Sta crescendo bene" disse il pediatra riferendosi alla mia sorellina .Era ancora nell'incubatrice e pesava cinque libbre poi, inaspettatamente, ricevemmo una telefonata dall'ospedale. |
Papà aveva visto Ada solo poche ore prima, nessuno gli aveva prospettato l'eventualità che sarebbe potuta morire. Si rivolse a mia madre e con difficoltà riuscì a dirle: "La bebi è morta'. "No, no" ripeté lei all'infinito, tra le lacrime. Non mi dissero che era morta. Da ciò che udii e da ciò che vidi, compresi solo che non sarebbe venuta a vivere con noi e mi rese triste l'idea che non avremmo potuto giocare insieme a casa e che io non avrei potuto fingere di essere la sua mamma. Sarebbe stato il giocattolo più bello che avrei mai ricevuto e ora non ce l'avevo più. La sua morte significò che la nostra famiglia sarebbe rimasta immutata: mamma, papà e io. Ragionarono a lungo sulle cause della sua morte. Mio padre disse: "La sua piccola bocca era piena di latte rigurgitato, si è soffocata". Non so se presero mai in considerazione l'idea di effettuare un'autopsia, ma certamente non avrebbero potuto sostenere una simile spesa, considerato che avrebbero pagato a fatica il conto dell'ospedale. Inoltre era altrettanto possibile che si sentissero in difficoltà per la scarsa padronanza della lingua inglese. Non fecero ricorsi se non per poter finalmente avanzare diritti su quel corpicino che non avevano mai toccato e che sembrava essere appartenuto solo alle infermiere e ai dottori. Mio padre poté stringerla tra le braccia, avvolta da una coperta per neonati, e portarla alla camera mortuaria. Mia mamma non lo accompagnò. Le donne del vicinato andavano e venivano continuamente, per farle compagnia e per tentare di consolarla. "Maria, Lorraine ha bisogno di te". |
Era una sensazione completamente nuova la paura che avevo per il fatto di non essere né pensata né guardata da mia madre. "Non piangere mamma, possiamo andare a comprare un altro bambino". Non avevamo abbastanza denaro da parte, ma riuscimmo lo stesso a darle una degna sepoltura. Tutti i risparmi rimasti dopo l'acquisto della casa erano stati dissipati durante la Grande depressione. Un anno prima della nascita della mia sorellina, papa avevo dichiarato bancarotta poiché era fallito nel tentativo di avviare un'impresa di costruzioni. Ora era disoccupato e guadagnava qualcosa proponendosi come tuttofare. La salute di mamma era notevolmente migliorata e ottenne un posto alla Levi-Strauss, cucendo jeans a cottimo. Guadagnava a malapena per pagare la corsa in tram e le mie piccole necessità, ma continuò a lavorare finché le cose non si misero meglio. I mie genitori non riuscirono a pagare le tasse ospedaliere e quando ci fu un ordine del tribunale che acconsentì alla decurtazione del salario della mamma, della sua paga non rimaneva quasi più niente per noi. Ci vollero molti mesi prima che riuscissero a saldare i loro debiti con il dottore, l'ospedale e il cimitero. Sebbene mia madre avesse solo trentadue anni e fosse abbastanza in salute per poter avere un altro figlio, non considerarono mai più quest'eventualità. L'esperienza appena vissuta si rivelò oltremodo devastante. Non avrebbero retto, né economicamente, né emotivamente. Il giorno dopo che mio padre portò il corpo alla camera mortuaria, mamma e papà mi accompagnarono a vederla. Aveva il viso di una bambola, dei ciuffi di capelli ricci e scuri, indossava un abito bianco di seta che qualcuno aveva regalato alla mamma, e stava dentro una piccola bara bianca. |
|
|
A volte mi chiedo se sia mia sorella che ricordo o la bambola con cui ho giocato per molti anni da allora. Mia mamma era ancora troppo debole per venire con noi al cimitero. Era già trascorso un mese dal suo parto ma la quarantina, non era ancora terminata. Occorreva evitarle la fatica e il dolore intenso e profondo del percorso al cimitero, così io e papà la lasciammo a casa. Poi tornammo con un'amica di famiglia a prendere la bara; mio padre guidava e io gli sedevo a fianco, mentre la nostra amica sul sedile posteriore teneva la piccola bara bianca appoggiata sulle gambe. Nessuno si curò molto di me, ero solo una spettatrice e, soprattutto, dovevo rimanere fuori casa per non sobbarcare mia madre dell'obbligo di occuparsi di me. Avevo fortemente bisogno che qualcuno mi notasse e mi aiutasse a non sentirmi sola, avevo perso la mia sorellina e soffrivo anche io. Capisco ora perché fossi triste, allora ero troppo piccola per comprenderlo: come figlia unica, non ho mai avuto accanto fratelli o sorelle con cui condividere la casa, i genitori e tante esperienze; non ho avuto un fratello o una sorella dalla mia parte quando qualcuno mi feriva, sia i miei genitori, che chiunque altro. Non ci fu nessun altro figlio in famiglia che distraesse mamma e papà affinchè io potessi conquistarmi più libertà. Qualunque sia l'intensità del legame che esiste tra fratelli e sorelle, quando si diventa adulti si è per sempre uniti da una profonda conoscenza e da un'eredità condivisa che non potranno mai essere capiti davvero fino in fondo da nessun altro. |