Le delizie dell'orto

   
   

Già nel 1440, a Montelupone, in provincia di Macerata, si svolgeva una festa del carciofo, o meglio dello "scarciofeno" come dicono da queste parti. Si tratta del carciofo monteluponese, che viene raccolto tra aprile e maggio ed è molto apprezzato sia per il consumo fresco che per la preparazione di conserve sott'olio secondo le tradizionali ricette casalinghe. Più precoce il carciofo violetto di Jesi, diffuso oltre che nel comune da cui prende il nome, anche a Monsano, San Marcelle, Belvedere Ostrense, Morrò d'Alba, San Paolo di Jesi e Monte San Vito. Pure il carciofo violetto vanta una tradizione plurisecolare, come attestano alcuni documenti risalenti alla fine del 700. Sempre da Jesi e dintorni ci arriva un'altra primizia: il cavolfiore precoce di Jesi. Questo prodotto, che vanta una considerevole presenza anche nella fascia costiera della provincia di Ascoli Piceno (in particolare nella zona di San Benedetto del Trento dove si coltiva dalla fine dell'Ottocento) è stato oggetto, negli anni, di ripetute selezioni finalizzate al miglioramento delle caratteristiche commerciali del prodotto. All'origine, infatti, l'infiorescenza presentava le classiche lumachelle: delle protuberanze coniche a spirale che, se da un lato sono da considerare un mirabile esempio di architettura vegetale, dall'altro creavano non pochi problemi in fase di trasporto, poiché si rompevano facilmente. Il miglioramento genetico ha influito anche sul colore del corimbo che da giallognolo è divenuto via via sempre più bianco. Si tratta quindi di un prodotto che col passare del tempo ha mutato alcune delle sue caratteristiche morfologiche, per andare incontro alle esigenze del mercato, che ha però mantenuto invariate le caratteristiche di precocità e rusticità che lo distinguono dagli altri.

 

E, tra questi altri, è d'obbligo citare il cavolfiore tardivo di Fano che compare già in alcune nature morte della fine del 1700 del pittore fanese Carlo Magini. Diffuso oltre che a Fano anche nelle zone costiere limitrofe, fino a Senigallia, presenta un'infiorescenza compatta, di pezzatura media o medio-piccola, di grana grossa e di colore bianco o bianco avorio. Rustico e resistente al freddo, il cavolfiore fanese ha un ciclo biologico piuttosto lungo. Infatti, il trapianto si effettua dalla fine di agosto ai primi di settembre e la maturazione inizia a fine febbraio per protrarsi fino a metà maggio. Sempre al confine tra le province di Ancona e Pesaro-Urbino, si produce la cipolla di Suasa. È diffusa particolarmente nel Comune di Castelleone di Suasa tanto da prenderne il nome. Ma, in questo caso, la relazione tra prodotto e territorio è talmente stretta che gli abitanti di Castelleone sono detti "cipollarì ".

 

 

Coltivata da almeno Un secolo con la stessa cura e dedizione, la cipolla di Suasa viene prima seminata in vivaio per essere, poi, trapiantata in file semplici. Una volta che la cipolla è giunta a maturazione, si pratica il piegamento delle foglie e il loro schiacciamento sul terreno. Tale tecnica ha il compito di bloccare lo sviluppo vegetativo e di permettere alle foglie di asciugarsi ed acquisire la consistenza che renderà poi possibile intrecciarle tra loro a formare la caratteristica "treccia" di 30-40 bulbi utilizzata sia per la conservazione che per la vendita di questo prodotto. Sempre per rimanere in tema di ortaggi, andiamo a conoscere le taccole, una particolare varietà di pisello, detta anche "pisello mangiatutto" poiché si mangia con l'intero baccello. Un baccello lungo circa 10-15 centimetri, di forma larga e appiattita e di colore verde chiaro, caratterizzato dal fatto che la membrana posta al suo interno è sottilissima o completamente assente.

 
 

Apprezzate per il loro sapore dolce e delicato, le taccole si raccolgono nel periodo compreso tra aprile e giugno e vengono cucinate in modo molto semplice (al formaggio, al lardo, in umido o al forno). Il prodotto è diffuso su tutto il territorio regionale ma trova la sua terra di elezione nelle pianure del fermano e dell'ascolano. Già all'inizio del Novecento le taccole facevano registrare consistenti produzioni nella Valdaso da cui venivano esportate anche nel Nord Europa. L'ultima delizia degli orti marchigiani è il gobbo di Trodica: il gigante degli ortaggi visto che la pianta può pesare tranquillamente 8-10 chili. Oltre che a Trodica di Morrovalle, questo stretto parente del carciofo (appartiene alla varietà botanica "attilis D.C." della stessa specie del carciofo, la "Cynara cardunculus L") è diffuso nel comune di Macerata e nelle zone circostanti tanto da essere identificato anche come cardo di Macerata. Rispetto agli altri cardi, il gobbo di Trodica presenta alcune caratteristiche distintive: la maturazione è meno precoce, le spine sono totalmente assenti, le foglie sono piene con liste meno frastagliate.

 

Si differenzia ancora per doti di gentilezza più evidenti della cestola mediana fogliare che si presenta molto ampia, spessa, priva di pellicola feltrosa, di colore bianco-avorio, carnosa, succosa, di aroma franco e sapore armonico molto delicato. La cestola si distingue infine per la scarsa presenza di filamenti che, a volte, mancano completamente. Una volta liberato dai filamenti, il gobbo viene tagliato a pezzi e lavato accuratamente. Quindi, una volta lessato, è pronto per essere impiegato in diverse ricette: tutte tradizionalmente semplici: in padella con la salsiccia, oppure in umido o, ancora, fritto con lo strutto. Non stupisca l'abbinamento del gobbo con salsiccia e strutto in quanto il periodo ideale per gustare questo ortaggio va da dicembre a febbraio e coincide perfettamente con l'epoca "della pista". E siccome coincide anche con il massimo del rigore invernale, è lecito concedersi qualche caloria in più.

 

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