Mele e pere: la frutta classica... ma non troppo

   
   

Fatta non di grandi numeri, la frutticoltura marchigiana può contare su alcuni prodotti di nicchia veramente interessanti. Anche tra le mele e le pere, la frutta per antonomasia, si possono contare tre veri e propri assi nella manica. Il primo di questi è la pera angelica che può essere gustata nel periodo che va dalla fine di agosto all'inizio di settembre. Già la sua presenza in un negozio di frutta e verdura è di per sé una garanzia che non vi trovate da un fruttivendolo qualsiasi. Se poi volete andare a colpo sicuro, non avete che da andare alla festa della pera angelica che si tiene a fine agosto a Serrungarina, in provincia di Pesare e Urbino. Avrete modo allora di gustarla in un'atmosfera suggestiva in cui perdersi tra i vicoli e le piazzette di questo tranquillo borgo medievale. La pera angelica si presenta esternamente di colore verde-giallo con una grande macchia rosata nella parte rimasta più esposta al sole. Ha sapore delicato, con note di moscato, leggermente speziata. La polpa è butirrosa e presenta piccole granulazioni intorno al cuore. Oltre ad essere consumata come frutta fresca, può essere utilizzata a fine pasto nella preparazione di piatti locali o anche, come confettura, in diversi dolci. Spostandoci nei Sibillini, incontriamo la mela rosa, anche se sarebbe più adatto dire le mele rosa. Si tratta infatti di una varietà-popolazione il cui biotipo marchigiano si individua perlopiù nell'area pre-appeninica dei Monti Sibillini ed è quello che viene denominato "mela rosa marchigiana". Uno studio effettuato qualche anno fa dall'allora Ente di sviluppo agricolo nelle Marche sul germoplasma del melo nelle Marche censì qualcosa come 51 varietà e biotipi di provenienza locale e si trattava quasi esclusivamente di mele rosa. Il frutto è medio-piccolo, irregolare, di forma appiattita e asimmetrica. La buccia è liscia e di colore rosso-vinoso, comunemente detto rosa. Un aspetto quindi che si discosta considerevolmente dagli standard della grande distribuzione che vengono graditi dalla maggior parte dei consumatori. Ma, all'assaggio, scoprirete qualcosa di straordinario.

 

Piacevolmente acidula e profumatissima, la mela rosa saprà conquistarvi in pochi istanti. Anche le caratteristiche agronomiche della pianta non sono trascurabili trattandosi di un albero molto resistente al freddo. Il frutto presenta, pure, una buona resistenza alla ticchiolatura e alle principali avversità biotiche. La mela rosa si presta quindi perfettamente alla coltivazione con metodi biologici o a basso impatto ambientale. Oltre ad essere consumate fresche, le mele rosa sono ottime anche cotte sotto la brace o al forno. Vengono anche utilizzate nella preparazione di vari tipi di dolci. Particolare è la preparazione di una marmellata di mele rosa e menta riscontrata in provincia di Macerata.

 

 

Estremamente limitata anche la diffusione della mela rozza della quale sono stati riscontrati solamente due biotipi: uno a Santa Vittoria in Matenano, in provincia di Fermo, l'altro a Recanati, in provincia di Macerata. La mela rozza presenta un frutto di dimensioni contenute che non supera il peso di 40 grammi, di calibro abbastanza uniforme, di forma appiattita più o meno fortemente, con profili irregolari. La cavità peduncolare è stretta e poco profonda ed il peduncolo è molto corto. La buccia è di colore verde, rugginosa su tutta la superficie, di consistenza ruvida, cosparsa di poche lenticelle piccole e rugginose. Un altro caso quindi di aspetto esteriore poco accattivante che penalizza l'apprezzamento del frutto da parte dei consumatori. Ma, la mela rozza viene consumata solo da chi sa apprezzarla veramente. D'altronde, la scarsissima diffusione di questo frutto fa sì che non potrebbe essere diversamente. Ciò che colpisce sono II profumo e il sapore un po' aspro che la rendono facilmente riconoscibile dalle altre mele. Con la conservazione, poi, acquisisce un gusto spiccatamente zuccherino, asciutto e aromatico, mai stucchevole. In passato, si usava anche tagliare le mele rozze in fette che, essiccate su grate metalliche al calore della stufa a legna, venivano poi conservate in barattoli di latta per essere consumate durante l'inverno tal quali oppure fatte bollire nell'acqua mielata o nella sapa.

 

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