Tanti modi di gustare l'oliva |
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In precedenza abbiamo visto quanto prezioso sia sempre stato considerato l'olio d'oliva. Ma una grandissima reputazione ha sempre avuto anche l'oliva da mensa. E quando si parla di oliva da mensa nelle Marche, e non solo nelle Marche, è sottinteso che si sta parlando dell'oliva tenera ascolana. Buona, succosa e di facile digestione, quest'oliva, oggi conosciuta a apprezzata ben al di fuori dei confini nazionali, era chiamata, dai classici latini, "picena". Illustri estimatori ne decantavano la poca presenza di olio ed acidi, la bontà in salamoia (Plinio) o come inizio e fine pasto (Marziale). I Piceni erano soliti inviarle, entro barilotti di legno o in vasi di terracotta, come omaggio ai protettori romani che ne erano ghiottissimi. Non erano da meno i Cartaginesi, che, al tempo di Annibale, ne fecero vere e proprie razzie. Citazioni più recenti sono legate a Papa Sisto V, Garibaldi, Rossini e Puccini. Il suo habitat ideale, originato dal disfacimento di rocce calcaree su travertini, dal confluire di acque e da un freddo ideale per le piante, è vicino ad Ascoli Piceno, anche se la zona produttiva è più vasta e sconfina anche nella parte settentrionale della provincia di Teramo. Il limite dell'oliva ascolana è l'estrema delicatezza dei frutti che, per essere idonei alla lavorazione, devono essere perfettamente integri. Quindi si può immaginare quanta maestria e quanta pazienza si richieda alle laboriose donne ascolane che si dedicano ancora alla raccolta di questo autentico tesoro. Finché non si arrenderanno alla fatica della raccolta, sarà ancora possibile gustare questo prodotto, la cui produzione attuale è nell'ordine di 4-5 migliaia di quintali. La ricetta classica in salamoia prevede le seguenti fasi: una prima deamarizzazione, alcuni lavaggi per la riduzione dell'alcale residuo, la successiva fermentazione e conservazione in salamoia. Chimicamente, la deamarizzazione è l'idrolisi dell'oleuropeina, un principio attivo naturalmente presente nelle olive. Anticamente, si effettuava con il "ranno", un liquido alcalino ottenuto omogeneizzando una parte di calce viva e 4-5 parti di cenere. |
Oggi si usa la soda in percentuale variabile tra l'1,5% e il 3%. Questa fase deve durare fino a quando il principio alcalino non ha raggiunto i 2/3 della polpa. I successivi lavaggi con acqua si protraggono per 24-36 ore. Si aggiunge quindi la salamoia all'8-10% di cloruro di sodio. Esiste anche una produzione definita "al naturale" che viene ottenuta con una semplice deamarizzazione in salamoia. L'altra preparazione che ha reso celebre questo prodotto nel mondo è la versione farcita e fritta "all'ascolana". La preparazione non è delle più semplici ma il risultato finale è qualcosa di veramente straordinario. Bisogna innanzitutto preparare il ripieno delle olive. Si fanno soffriggere, in olio o strutto: sedano, carota, cipolla e pezzi di carne di bovino adulto e, in quantità minore, carne suina. È possibile anche l'aggiunta di piccole quantità di carni bianche di pollo o di tacchino. Al soffritto, che va preparato a fuoco lento, si aggiungono sale e vino bianco e, eventualmente, salsa di pomodoro. A cottura ultimata, la carne e gli altri ingredienti aggiuntivi vengono triturati e l'impasto così ottenuto viene legato con uova, formaggio grattugiato e spezie. A questo punto le olive, che nel frattempo saranno state snocciolate, vengono riempite con la farci-tura e passate nell'uovo e nel pangrattato. Quindi il tocco finale: la frittura in olio extravergine di oliva: una frittura breve che deve durare appena il tempo necessario perché si formi una leggera e croccante crosticina dorata. È un prodotto che vanta non pochi tentativi di imitazione ma la croccantezza e la delicatezza delle olive all'ascolana prodotte sul luogo, con la varietà ascolana tenera locale, non sono assolutamente eguagliagli. |
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Comunque, proprio per distinguere il prodotto autentico dai prodotti simili, è stata chiesta per l'Oliva Ascolana del Piceno la protezione comunitaria come DOP, registrata proprio in questi ultimi giorni dalla Commissione Europea. Ma anche le olive da olio vengono utilizzate per alcune preparazioni molto interessanti. È il caso, ad esempio, delle olive nere marinate che si ottengono, nelle varie zone della regione a partire dal Leccino o dalla Raggiola (nel pesarese) ma anche dalla Raggia (in provincia di Ancona) o dal Piantone di Falerone (nel fermano). Le olive raccolte vengono lavate in acqua corrente e quindi, una volta fatte asciugare, poste in vasi di vetro insieme a sale grosso, aglio, pezzi di finocchio selvatico essiccato e scorze di limone o di arancio essiccate. I recipienti vanno chiusi non ermeticamente e agitati quotidianamente per consentire un'uniforme distribuzione degli ingredienti. Dopo circa 40 giorni, il prodotto è pronto per essere consumato. Un'alternativa consiste nel mettere le olive in un sacco di juta insieme al sale grosso. Il sacco va appeso nel luogo più freddo della casa e, per evitare l'insorgere di muffe, le olive vanno rimescolate due volte al giorno. Successivamente, le olive passano nei contenitori di vetro dove si aggiungono gli stessi ingredienti utilizzati per le olive marinate. Le basse temperature invernali favoriscono la perdita del sapore amaro delle olive e ne determinano la disidratazione facendo assumere ad esse un aspetto raggrinzito. Nel maceratese, questa preparazione è nota col nome di olive strinate. |