Gli edifici separati

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II forno dove Filuma cuoceva il pane una volta alla settimana, sembrava una casa di mattoni in miniatura, con la sua canna fumaria e le maniglie all'altezza della vita. Prima di andare a letto, in un recipiente impastava farina, acqua e lievito. Filuma e Gigi si alzavano quando ancora era buio, lei divideva l'impasto in pagnotte che poi lasciava lievitare mentre lui accendeva il fuoco nel forno a legna all'esterno. Entrambi raggiungevano Gus nel pollaio e ciò che tutti e tre desideravano a quell'ora in cui lo stomaco è ancora chiuso, era solo una tazza di caffè. Qualche ora dopo il risveglio, Gigi prendeva dei tizzoni ardenti dal forno e spazzava via la cenere con una scopa dal manico lungo. Insieme caricavano di pagnotte il ripiano removibile del tavolo e lo portavano fuori attraversando le due porte del seminterrato, poi Gigi, utilizzando un utensile ideato da lui, faceva scivolare le pagnotte una ad una sui mattoni roventi. Quando fui abbastanza grande da passare, ogni estate, una settimana a casa loro, scendevo nel seminterrato alle otto, appena li sentivo rientrare per la colazione. Il giorno in cui veniva cotto il pane l'odore delle pagnotte appena sfornate si diffondeva per tutta la casa. Man mano che passavano i giorni, quel pane diventava sempre meno appetitoso poiché veniva conservato nella dispensa al piano di sopra e diventava duro e secco. Mangiavano il pane con salame, tonno, o cipolla dolce con olio e aceto, bevevano vino e acqua perché per loro era già trascorsa gran parte della giornata.

 

Mi piaceva tantissimo il pane che Filuma impastava dandogli una forma rotonda e piatta - crescia - e condiva con olio d'oliva e rosmarino, prima di infornarlo. Mi piaceva anche la piccola pagnotta in miniatura che Filuma preparava per me e che io farcivo con la gelatina. "Mangia a modo, baby" mi diceva Gus in quell'italiano colloquiale che usavano anche i nostri genitori; era una comica imitazione di mio padre, il quale mi ricordava, sempre con tono serioso, di mangiare composta. "Mangiare a modo" significava mangiare più pane che salame, pulire la bocca col tovagliolo prima di bere, non far cadere pezzi di cibo o briciole sul pavimento, non essere vorace, non rifiutare mai qualcosa che mi venisse offerto. Il riferimento a mio padre mi faceva immediatamente sentire la nostalgia di casa prima di rendermi conto che preferissi stare lì piuttosto che a casa mia in Brazil Avenue. Quanto era divertente Gus quando mi ordinava di mantenere le buone maniere, e quanto era bello avere gli adulti sempre vicino e non dover aspettare che mamma e papa tornassero dal lavoro. Scoprii e riscoprii la vita selvaggia che mi era estranea, abituata a vivere in un mondo di asfalto e cemento: rospi, serpenti, aquile, uccelli canterini, lucertole, grilli, moffette e tartarughe. Se i Sanchietti non erano a dar da mangiare agli animali nel pollaio, seguendo la tabella giornaliera che ormai conoscevo a memoria, erano di certo in uno degli altri edifici vicino casa, così sapevo dove trovarli quando volevo compagnia. Gigi poteva essere nel fienile dove parcheggiava il trattore e il camion, ad affilare una falce o un'ascia o a riparare una carriola o ad aggiustare qualche altro attrezzo agricolo.Possedeva anche un distributore personale, una singola pompa fuori dal granaio dove riforniva di gas anche la Nash di papà prima della nostra partenza.

 

10 e Gigi non parlavamo tantissimo; dal suo punto di vista io appartenevo al regno di Filuma: la casa e le faccende domestiche delle donne, in modo molto simile a quello in cui mio padre mi confinava al mondo di mia madre. Era sempre gentile con me, mantenendo quella sua indole burbera: "Hai mangiato?"', "Sei già andata a vedere i maiali?". Credo gli piacessero i bambini ma non sapesse come esternare affetto e dolcezza e forse, come genitore, gli mancava l'esperienza di un periodo dell'infanzia del figlio in cui erano stati lontani. Il suggerimento di Gigi mi ricordò di andare a vedere quanto fossero cresciuti dall'ultima volta che li avevo visti. Osservai gli animali mangiare da un trogolo e sguazzare nel recinto pieno di fango. Vicino, ma sempre a debita distanza da casa, c'erano anche gli altri edifici puzzolenti: il piccolo capanno di legno utilizzato come gabinetto quando lavoravano lontano da casa, la tettoia sotto la quale depositavano la paglia e il letame raccolto nei pollai. Andai a dare un'occhiata ma non mi soffermai. Gus lavorava con suo padre oppure potevo trovarlo nei pressi della pompa vicino casa. Il rumore ritmico che proveniva da là aveva a che fare con un'inspiegabile sistema di irrigazione che utilizzava l'acqua del pozzo per la fattoria. C'era un congegno elettrico nella stanza della pompa nel quale loro versavano, da sopra, enormi quantitativi di erba appena tagliata che tornava fuori completamente sminuzzata e veniva usata per cibare i polli.Parte di questo edificio era costituito da un capanno aperto dove venivano conservate le noci e le prugne (in attesa che si essiccassero). Esternamente c'era un vecchio lavandino attaccato alla parete ed era lì che ci lavavamo prima di attraversare il cortile ed entrare nel seminterrato.

 

Rintracciare Filuma era molto più semplice: poteva essere nell'orto, un pezzo di terreno tra la casa e la strada, grande quanto un piccolo appezzamento che si poteva trovare in città e circondato da una siepe bassa. "Non calpestare le piante di cetriolo, Lorraine, li rende amari", "Aiutami a raccogliere i fagioli come questi, Gigi vuole solo quelli piccoli","Tu va' a prendere la cipolla e io prenderò la cicoria per l'insalata". Se non era nell'orto, Filuma era nella casetta delle uova, cioè nell'ultimo edificio del cortile, dove terminava l'area con la ghiaia e iniziava il sentiero polveroso che, passando davanti ai pollai, portava al frutteto. Due volte al giorno si andavano a prendere le uova che venivano trasportate con dei cesti alla casetta delle uova. Ogni pomeriggio Filuma svolgeva una mansione prettamente femminile: selezionava, puliva e riponeva all'interno di cassette migliaia di uova, in questa stanza senza finestre e coperta di ragnatele. Il banco da lavoro era vicino alla porta, una lampadina penzolava dall'alto, la porta sempre aperta alle mosche, all'aria estiva e a chiunque andava e veniva.A volte si vedevano George e Norma che arrivavano da soli o assieme, erano molto più piccoli di me, erano i figli del fratello di Gigi, Pep, che viveva nella fattoria adiacente. Solitamente era George che a qualsiasi ora del giorno voleva stare con zia Filuma e zio Gigi e rimaneva a mangiare ogni volta che preferiva il menu della zia a quello della madre. Il fine settimana, quando arrivavano mamma e papa, anche la mamma veniva nella casetta delle uova dopo aver lavato e asciugato i piatti del pranzo.

 

Si sedeva a riposarsi sugli scalini o su un cesto capovolto. Non riesco a richiamare alla memoria la sua immagine mentre prende le uova nel pollaio o le sistema nella casetta delle uova. Forse Filuma le assegnava mansioni all'interno della casa, forse (e più verosimilmente) mamma si trovava più a suo agio in un ambiente igienico come la casa piuttosto che nel cortile tra gli insetti, i vermi e tutti gli animali che si trovava davanti ogni volta che si avventurava all'esterno. Nel 1937, quando Gus portò la sua sposa diciottenne, Anne, a vivere alla fattoria, scegliere le uova diventò il compito della ragazza. Anche quando i loro bambini erano piccoli lei doveva occuparsi delle uova quotidianamente, pure con uno o più figli appresso. Ebbero quattro figli in dieci anni, i primi tre tutti a poca distanza Puno dall'altro subito dopo il matrimonio. Io ero adolescente quando nacque il primo, ero una ragazzina che giocava con bambole vere, riversando su quei bambini il mio adolescenziale istinto materno. Anne aveva solo sette o otto anni più di me ed era una moglie e una mamma. A volte, quando ci trovavamo sole nella casetta delle uova, le facevo domande che non mi sarei mai azzardata a porre a nessun altro adulto: "Anne, sai che cos'è un bacio alla francese?","Se un ragazzo mi mette la mano sul seno, significa che vuole arrivare fino in fondo?" Anne mi rispondeva sempre come meglio poteva, senza mai ridere di me. Non c'era motivo che ricevessi quelle informazioni, ma volevo essere preparata, volevo sapere per informare le mie amiche.

 

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