Il seminterrato

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Il seminterrato, che era la parte della casa dove stavano tutti quanti quando non erano occupati all'esterno o quando non dormivano, era una sola stanza ampia quanto l'intera casa di tre camere del piano di sopra. Al piano superiore c'era anche la cucina, un soggiorno e un salotto ma non ci passavo mai troppo tempo, eccetto quando aiutavo Filuma a spolverare o pulire. Dal cortile vi entravamo attraverso una doppia porta, non prima di aver ripulito le suole delle scarpe dalla terra, strofinandole su un raschietto fissato al muro esterno. Scendevo cinque scalini per raggiungere un piano buio con il pavimento di cemento, che era sempre fresco in estate e riscaldato da una stufa a legna in inverno. "Presto, presto" mi rimproverava Filuma appena mi vedeva sulla porta "sbrigati, altrimenti farai entrare le mosche". Le finestre esternamente, all'altezza del terreno, erano protette da una zanzariera che lasciava entrare aria e luce nella parte del seminterrato riservato alla cucina. Garofani e rose rosse crescevano fuori dalle finestre nella striscia di terreno che circondava la casa: l'unica frivolezza rispetto alla concezione razionalmente funzionale del resto del paesaggio e dell'abitazione.

 

In quel punto della casa c'era una stufa a gas, adibita a quasi tutte le preparazioni dei cibi e una grande stufa a legna, realizzata in ferro che, seppure dotata, nella parte inferiore di un forno per cuocere e nella parte superiore di un altro per riscaldare le pietanze, veniva utilizzata principalmente per scaldare l'ambiente durante l'inverno. Nell'angolo vicino c'era un tavolo da lavoro con un piano removibile, sul quale stava un contenitore di metallo laminato in cui Filuma impastava il pane. Di fianco al tavolo sul quale mangiavamo c'era un lavandino con uno scolapiatti di legno, semplicemente appoggiato su dei basamenti di legno; di lato, sul pavimento di cemento, c'era un foro per lo scarico rivestito da una griglia di metallo. Le foglie d'insalata venivano messe in uno strofinaccio bianco appeso a scolare sopra quella griglia. Qui vi si appendevano anche i polli sanguinanti ai quali Filuma torceva il collo e tagliava la testa. Questo scarico risultava utile alle donne anche per versarvi l'acqua utilizzata per lavare le verdure dell'orto o la senape selvatica e il tarassaco. L'acqua finita sul pavimento veniva buttata o spazzata nel foro di scarico, soprattutto in estate dopo aver preparato i barattoli con sughi o marmellate da conservare o in inverno quando si uccideva il maiale: circostanze in cui la pulizia ordinaria non era sufficiente.

 

Per questi lunghi lavori, Gigi predisponeva un tavolo provvisorio sostenuto da cavalietti nel grande spazio di fronte alla cucina. Subito dopo l'inizio del nuovo anno, Gigi ci scriveva un messaggio: "Venite su sabato, è ora di uccidere il maiale". Gli uomini prendevano il controllo della cucina provvisoria, tagliavano, disossavano, macinavano, aggiungendo la giusta quantità di spezie e sale. Quasi tutto il maiale veniva conservato nella parte della stanza che percorreva, su quel lato, tutta la lunghezza del seminterrato.Lungo una parete di quella sorta di cantina, una struttura supportava una fila di botti di vino da cinquanta galloni e botti di aceto più piccole; la stanza era piena di boccali, imbuti, tubi e tu-bicini. Nell'altro lato della cantina c'erano scaffali per i barattoli delle conserve fatte in casa, molti contenenti passata di pomodoro e frutta; le marmellate e le gelatine in barattoli di vetro più piccoli ricoperti da uno strato di paraffina. Si riponevano qui anche alcuni prodotti acquistati, come le scatolette di tonno e di acciughe (non le piccole scatolette di acciughe sott'olio da buongustaio, ma quelle in enormi contenitori non sigillati pieni di piccoli pesci disposti in strati e ricoperti di sale grosso). Dalle travi del soffitto, attaccati ai chiodi a mò di festoni, pendevano: salami avvolti da pelle un po' ammuffita, il prosciutto e la coppa ricoperti da pepe nero.

 

Per qualche tempo dopo l'uccisione del maiale, la soppressata fatta con le parti della testa del maiale e le salsicce fresche. Sotto il pavimento, in una scatola di legno di pino, venivano conservate fette di grasso di maiale ricoperte di sale e avvolte in teli di stoffa puliti. Sul pavimento c'era una lattina di olio d'oliva da cinque galloni, il cui acquisto era sempre obbligatorio quando gli uomini andavano a Woodland, dove crescevano gli ulivi. A volte si potevano trovare anche barattoli di cetrioli o peperoni verdi sottaceto, oppure le olive preparate in salamoia che perdevano quel caratteristico sapore amarognolo o ancora un altro tipo di olive raggrinzite e leggermente amare e con un retrogusto d'aglio. Gigi e Filuma compravano poche cose nei negozi in paese, solo carne fresca e pesce. La cantina che fungeva da deposito e l'abbondanza delle provviste che conteneva erano fondamentali per soddisfare le necessità della famiglia. Altrettanto importante era la piccola struttura dietro la casa, proprio vicino al garage a quaranta o cinquanta piedi dalla porta del seminterrato.

 

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